jueves, 7 de enero de 2010

Giovanni Sartori



En Italia se está viviendo un interesante debate sobre como resolver el problema de la presencia en el país de culturas diferentes, hasta hace poco no presentes o en cantidad poco significativa El debate se centra en la comunidad de cultura islámica. Sartori és una de las referencias intelectuales en el análisis del problema de la convergencia de culturas diversas, por eso interesa conocer sus opiniones. La causa del debate la podemos ver en las siguientes palabras de Sartori: "In tempi brevi la Camera dovrà pronunciarsi sulla cittadinanza e quindi, anche, sull' «italianizzazione» di chi, bene o male, si è accasato in casa nostra".

Recojo algunas de las afirmaciones que hace hoy (7.1.10) en su artículo del Corriere de la Sera:

-No al multiculturalismo ideologico. Es el título de su artículo. Sartori diferencia entre pluriculturalismo y multiculturalismo ideológico. Él describe a la sociedad italiana así com a la mayoría de las sociedades occidentales como sociedades multiculturales de hecho,, pero al mismo tiempo como sociedades pluriculturales en las que el objetivo es tratar de gestionar la diversidad culturals promoviendo aquello que nos une, no lo que separa.

-Non si deve confondere tra il multiculturalismo che esiste in alcuni Paesi, che c’è di fatto, e il multiculturalismo come ideologia, come predicazione di frammentazione e di separazione di etnie in ghetti culturali. Per esempio la Svizzera è oggi, di fatto, un Paese multiculturale che funziona bene come tale Invece Belgio e Canada sono oggi due Paesi bi-culturali in difficoltà, specie il primo. Anche la felix Austria fu, sotto gli Asburgo, un grande Stato multiculturale che però si è subitamente disintegrato alla fine della prima guerra mondiale. Comunque, i casi citati sono o sono stati multiculturali di fatto. Il multiculturalismo ideologico di moda è invece una predicazione che distrugge il pluralismo e che va perciò combattuta.

-(...) è il pluralismo che valorizza e pregia la diversità. Ma una diversità fondata su cross-cutting cleavages, su affiliazioni e appartenenze che si incrociano, che sono intersecanti, e non, come nel caso dell’ideologia multiculturale, da affiliazioni coincidenti che si cumulano e rinforzano l’una con l’altra. Pertanto è sbagliato, sbagliatissimo, raccontare che ormai viviamo tutti in società multiculturali, e che questo è inevitabilmente il nostro destino. Invece sinora viviamo quasi tutti, nell’Occidente, in società pluralistiche in grado di assorbire e di gestire al meglio l’eterogeneità culturale.

-La moschea, si ricordi, non è solo un luogo di culto, una chiesa nel nostro significato del termine, è anche la città-Stato dei credenti, la loro vera patria.

-Ma sono certo preferibili alla creazione del cittadino «contro-cittadino» che, una volta conseguita la massa critica necessaria, crea e vota il suo partito islamico che rivendica diritti islamici se così istruito nelle moschee. Non dico che avverrà; ma se il fondamentalismo si consolida, potrebbe avvenire. È un rischio che sarebbe stupido correre. O almeno a me così sembra.

Y del artículo CDS 20.12.09):

-Primo, che la questione non è tra bianchi, neri e gialli, non è sul colore della pelle, ma invece sulla «integrabilità» dell' islamico.

-Secondo, che a fini pratici (il da fare ora e qui) non serve leggere il Corano ma imparare dall' esperienza. La domanda è allora se la storia ci racconti di casi, dal 630 d.C. in poi, di integrazione degli islamici, o comunque di una loro riuscita incorporazione etico-politica (nei valori del sistema politico), in società non islamiche. La risposta è sconfortante: no.

-(...) cinesi, giapponesi, indiani, si accasano senza problemi nell' Occidente pur mantenendo le loro rispettive identità culturali e religiose. Ma - ecco la differenza - l' Islam non è una religione domestica; è invece un invasivo monoteismo teocratico che dopo un lungo ristagno si è risvegliato e si sta vieppiù infiammando. Illudersi di integrarlo «italianizzandolo» è un rischio da giganteschi sprovveduti, un rischio da non rischiare.

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